giovedì, dicembre 29, 2011

Gladwell Vs. Shirky: un anno di dibattito alla prova dei fatti

 Tahrir Square, febbraio. By Ramy Raoof
Su Threat Level (un blog di Wired USA) Bill Wasik riprende il dibattito Gladwell-Shirky iniziato a fine 2010 su impatto ed effetti della tecnologia sull'azione politica e sociale.
Dopo un anno di primavera araba e Occupy Wall Street, chi aveva ragione?

Il dibattito
In un articolo del New Yorker di cui si è molto parlato (ottobre 2010), Gladwell parlava dell'evoluzione dell'attivismo degli anni '60 per confrontarlo con quello (presunto?) di questi anni di social network.
Nella sua analisi, Gladwell riprendeva anche la distinzione di Granovetter tra strong ties - i legami forti e costanti che manteniamo con le persone a noi vicine, famiglia e amici stretti, presumibilmente in contesti maggiormente omogenei  - e weak ties - quelli deboli che però ci consentono di avere contatti con reti più estese e varie (risultando, ad esempio, più utili nella ricerca di un lavoro, secondo il sociologo). Nelle rivoluzioni, nei momenti in cui è necessaria azione, sosteneva Gladwell, sono i legami forti che ti fanno agire, non certo i legami deboli, non certo i social network e le "amicizie" su Facebook, non i clic di sostegno a cause vicine e lontane.

Pessimismo o realismo?
Non è tutto qui, secondo Clay Shirky, docente a NYU e una delle voci più riconosciute e apprezzate per quanto riguarda le analisi dei movimenti sociali al tempo della Rete (sono considerati fondamentali i suoi saggi Here comes everybody e The cognitive surplus, entrambi tradotti in Italia da Codice Edizioni).
In un lungo articolo Shirky ha risposto così:
“the fact that barely committed actors cannot click their way to a better world does not mean that committed actors cannot use social media effectively.”
Cioè: certo, qualche clic qua e là non ha impatto sociale, ma questo non vuol dire che chi invece sta impegnandosi attivamente non usi invece i social media in modo efficace, persino inventando nuove modi di farlo.

In sintesi
La sintesi la fanno loro in uno scambio di lettere su Foreign Affairs:

Gladwell: [Shirky's] argument to be anything close to persuasive, he has to convince readers that in the absence of social media, those uprisings would not have been possible.

Shirky: I would break Gladwell’s question of whether social media solved a problem that actually needed solving into two parts: Do social media allow insurgents to adopt new strategies? And have those strategies ever been crucial? Here, the historical record of the last decade is unambiguous: yes, and yes.

Chi ha ragione?
Anche in Italia, il dibattito tende a polarizzarsi, perché è molto più semplice gestirlo così (e anche qui andrebbero fatte diverse riflessioni).
Per parte sua Wasik propone alcune interessanti riflessioni sulle posizioni di entrambi e conclude così:
As Shirky puts it, digital networks “do not allow otherwise uncommitted groups to take effective political action. They do, however, allow committed groups to play by new rules.”  
To this assessment, I’d add something else: They create new rules for how committed people get and stay connected with one another, and how those connections get classified, even in their own minds. After all, it’s not hard to imagine that, when faced with a questionnaire asking to list their closest friends or associates, these activists would list one another, rather than their family or the people they drink with in their own hometowns.  
Activists may need “strong ties” to risk their lives in the streets, but it’s clear those ties can stretch across continents, and can consist entirely of bits — right up until the moment when they come together.

Movement Times: Best of TechPresident

"During movement times, the people involved have the same problems and can go from one communication to the next, start a conversation in one place and finish it in another. Now we're in what I call an organizational period, which has limited objectives, doesn't spread very rapidly and has a lot of paid people and bureaucracy. It's completely different from what takes place when there is a social movement."
— Myles Horton, "The Long Haul"

 Tempo di movimento e movimenti: dall'Egitto a Occupy Wall Street, dalla trasparenza amministrativa a Wikileaks, ecco una raccolta dei migliori post di TechPresident nel 2011.
Grazie a Micah Sifry, Nick Judd e Nancy Scola.

lunedì, dicembre 12, 2011

Alaa Abdel Fattah e la rivoluzione egiziana [aggiornato]

Foto di Personal Democracy
Ho sentito parlare Alaa Abdel Fattah al Personal Democracy Forum dello scorso giugno di quello che è stata la rivoluzione egiziana, degli scontri, del movimento in costruzione da anni.

Come altri, Alaa è tornato in Egitto, sapendo che la rivoluzione non era finita e che la deposizione di Mubarak non era necessariamente un automatico nuovo inizio. E infatti Alaa è stato nuovamente arrestato, come già accaduto cinque anni fa.
Questa è la lettera che ha scritto lo scorso primo novembre da una cella delle prigioni egiziane.

Qualche giorno fa è nato Khaled, suo figlio.
Meet Khaled Alaa Abdel Fattah, born last Tuesday to two Egyptian cyber-activists: mother Manal Bahey al-Din Hassan and father Alaa Abd El-Fattah, who is currently in prison.
Khaled is named after Khaled Said, the young man whose violent death at the hands of police in 2010 became a symbol and rallying point for activism that brought down the Mubarak regime earlier this year.”  


[Aggiornamento: Alaa è stato liberato il giorno di Natale]

venerdì, dicembre 09, 2011

Cose da fare a Parigi (quando non hai niente da fare)


Mostre (fino a gennaio)



Mangiare

  • Pozada, 2 rue Guénot (metro Nation o Boulet): piatti prevalentemente a base di carne e verdure, menzione speciale per il dolce, una piramide di mousse di cioccolato e caramello. La carta dei vini sembrava ben fornita, ma non sono un'esperta.
  • La Gazzetta, 29 rue de Cotte (metro Ledru Rollin, zona Bastille): posto molto carino, a cena ha una specie di menu fisso, con 5 o 7 piatti (assaggi di piatti), tutti particolari e curati. Ottimo il merluzzo con mandorle e cavolfiori e il dolce di banane con gelato al caffè.

PdF France - recap

Un po' di cose scritte su PdF France:

giovedì, dicembre 08, 2011

PdF France: il racconto della giornata

Il primo PdF France è andato alla grande!
Ho colto l'occasione per iniziare a usare Storify, che mi piace un sacco. Ecco qui un racconto della giornata, in un misto di inglese e francese.

martedì, dicembre 06, 2011

PdF France - live

Sono a Parigi per PdF France.
Cronaca qui:  @pdf_europe
Hashtag #pdffrance
Spazio Centquatre, sede della conferenza

venerdì, dicembre 02, 2011

PdF France, martedì a Parigi

Da lunedì a giovedì sarò a Parigi per la prima edizione di Personal Democracy Forum France.
Il programma è davvero interessante e comprende politici, attivisti, giornalisti, esperti di dati e combinazioni dei sopracitati.

Argomenti: le prossime elezioni in Francia, il lancio del portale nazionale di dati aperti, cambiamenti del giornalismo al tempo della Rete (sì, anche loro stanno scoprendo Twitter in questi giorni) - e tra l'altro vanno segnalate anche un po' di startup giornalistiche che iniziano a riscuotere significativo successo.

Se siete da quelle parti o fate un giro a Parigi per il ponte, iscrivetevi (l'evento è gratuito e sarà in francese e in inglese).