lunedì, marzo 17, 2014

"I numeri non parlano da soli": intervista a Nate Silver

Oggi - tra qualche ora - Nate Silver riparte con FiveThirtyEight, un numeroso staff e un progetto assai ambizioso.

Alcuni mesi fa ho avuto l'onore e il piacere di intervistarlo per l'Internet Festival.

Abbiamo parlato di big data e politica, della credibilità dei media e del suo approccio all'analisi politica. Un approccio etico, senza alcun timore a definirlo tale - una boccata d'aria pura, essendo abituati alla reazione da sopracciglio alzato quando si parla di etica.

Ma, ancora di più, un approccio etico che vuol dire metodo trasparente, che vuol dire parlare di politica slegandosi dal retroscenismo. E che vuol dire non illudersi che i numeri siano neutri, ma che si possano far parlare (che è quello che fanno tutti) in modo più chiaro, coerente e contestualizzato. Credendo, insomma, che possiamo fare un lavoro migliore.

domenica, marzo 02, 2014

Racconti dal Parlamento Europeo: noi, l’Europa e le elezioni 2014

Sede del Parlamento Europeo, Strasburgo
La scorsa settimana ho passato alcuni giorni a Strasburgo, ospite dell’EPP, il gruppo del Partito Popolare Europeo.

L’obiettivo del viaggio - che raccoglieva circa una trentina di persone da tutta Europa - era mostrare il funzionamento delle istituzioni europee e consentire il confronto tra i parlamentari europei del gruppo e i cittadini che a vario titolo si occupano di politica (ma, tendenzialmente, non di temi legati all’Europa).

Con i parlamentari abbiamo affrontato numerosi temi, dal bilancio ai diritti della Rete, dalla politica economica al ruolo delle istituzioni europee.
Ci siamo anche confrontati con chi si occupa della comunicazione e dei problemi che comporta.

Non conoscevo nessuno dei partecipanti stranieri, abbastanza eterogenei - sebbene nello stesso ambito - per provenienza lavorativa, da addetti stampa ad attivisti, da giornalisti ad avvocati (con l’hobby di scrivere di politica), da docenti universitari a giovani studenti di scienze politiche (questi ultimi in gamba e riprovevolmente giovani).

Con me dall’Italia c’era Sergio Maistrello - che ha scritto alcune interessanti riflessioni.
Provo a buttarne giù qualcuna anche io.


1. Se dovessi portarmi a casa un pensiero “da cittadina” è che siamo (da intendersi come “cittadini dell’UE”) in mezzo a una guerra di posizione in cui è difficile prendersi le responsabilità delle cose da fare.

Da un lato i politici nazionali non vogliono mostrare di non essere loro a decidere e quindi tendono a ridurre il ruolo dell’Europa e la sua importanza, dall’altro vi fanno ricorso in caso di scelte impopolari.

 Da un lato i parlamentari europei (da qui “MEP”) possono rivolgersi al territorio di elezione - e spesso lo fanno - per raccontare il proprio operato, dall’altro non possono mettersi in aperto contrasto col partito e il loro sforzo sul territorio è comunque ridotto.

Da un lato il lavoro di parlamentare europeo richiede grandi competenze, dall’altro per anni il Parlamento Europeo è stato spesso usato per spingere persone di visibilità mediatica (questo me l’ha detto un MEP italiano) a scapito delle competenze, oppure come parcheggio per elefanti politici (questo lo dico io). Anche se le cose stanno lentamente cambiando, mi viene detto.

L’Italia, però, ha ancora scarso peso all’interno del Parlamento Europeo, ben inferiore a quanto potrebbe e dovrebbe, dato l’alto numero di parlamentari eletti, mi spiegano gli addetti ai lavori. 

Delle istituzioni europee ci ricordiamo in questi giorni di Ucraina e Russia, ma vi ricorriamo quasi come ricorriamo agli USA, come un’entità che dovrebbe aver potere di fare qualcosa.

E forse dovrebbe, ma noi, cittadini e politici italiani, glielo stiamo dando? Glielo abbiamo dato? è coerente chiedere decisioni e azioni a persone non elette (nel caso della Commissione Europea), di cui sappiamo a malapena il nome? E noi i nostri eletti, quelli di cui abbiamo scritto il nome sulla scheda - sì, per queste elezioni sì - li conosciamo? Sapremmo rivolgerci a loro per far sentire le nostre esigenze?

Votazioni - foto di Sergio Maistrello

2. Riprendo un pensiero di Sergio, che scrive:
“Rifletto sull’assenza di spazi di costruzione di una narrazione continentale, comune, condivisa. Non ci unisce un solo giornale, sito, fonte, blog di riferimento. Mettiamo insieme frammenti di un racconto frammentatissimo. Le nostre categoria di lettura della cittadinanza europea sono ancora prepotentemente nazionali. La narrazione europea procede per estremi: caterve di documenti per addetti ai lavori oppure la miopia della propaganda locale. Da questo punto di vista internet e i social media sono un’opportunità straordinaria, mi pare di capire ancora poco sfruttati (da noi cittadini, prima ancora che dai funzionari).” 

Forse non è così perché così (non) è la nostra percezione: cosa ho in comune col giovane lettone che mi parla del suo Paese appena entrato nell’euro e di cosa questo ha comportato per la loro economia? Di cosa potrei parlare con lo studente svedese che fa politica nei gruppi giovanili o con il docente olandese che organizza dibattiti sul ruolo dell’Europa nel suo Paese?
A pensarci in astratto non mi sarebbe venuto in mente nulla, in realtà di molte cose abbiamo parlato, scoprendo molto in comune, pure in contesti molto diversi.

Come scrive Sergio “la cittadinanza europea è un potente generatore di contesto: accoglie e favorisce il confronto. Il passaggio da cittadino italiano a cittadino europeo che vive in Italia è sorprendentemente rapido.” E i temi europei, l’impatto sulle rispettive nazioni di provenienza, il ruolo in ambito internazionale hanno permeato molte delle discussioni in quei giorni e delle riflessioni successive.

Questo viaggio, tra molte altre cose, mi ha fatto pensare che, nostro malgrado, siamo già nel futuro.
Ma il non rendercene conto non solo ci rende profondamente inadeguati a raccontarlo, ma anche a crearci gli strumenti per viverlo.