lunedì, marzo 31, 2008

Josiah Bartlet è il mio candidato

Che nel giro di due giorni, prima in un ristorante di Roma e poi in pub di Bologna, mi sia ritrovata a disquisire di Jed Bartlet, delle sue idee politiche e del suo staff (Josh Lyman in testa, come sempre) mi mostra un paio di cose.
Una è che persino le nicchie riescono a incontrarsi e a "riconoscersi" (in tempi stranamente brevi, talvolta).
Due, il fatto di lavorare a diversi progetti legati a queste elezioni mi ha assorbito tanto da far quasi passare in secondo piano che ci sarà un risultato e delle relative conseguenze. Insomma, sto finalmente realizzando che si va a votare tra due settimane e sto iniziando a preoccuparmi dell'eventuale risultato.
Coerentemente con lo spaesamento e la sfiducia, mi sto rifugiando in un candidato immaginario ideale circondato da uno staff estremamente competente e in gamba, ideale anch'esso.
Quando si dice "ancorati alla realtà" (o, nella lingua degli autoctoni, anche: annamo bene).

domenica, marzo 30, 2008

I sei gradi di separazione non funzionano. Ma anche sì.

Pare che la famosa teoria di Stanley Milgram sul concetto di "small world" (o anche: sei gradi di separazione) non sia basata su dati affidabili.
Anzi, leggendo l'articolo di Elizabeth DeVita- Raeburn pubblicato su Discover, pare che il famoso articolo di Psychology Today con i risultati dell'esperimento non citi in realtà alcun dato - e i documenti raccontano una storia molto diversa.
Ci sono studi che stanno dimostrando però che alcuni risultati confermano la teoria. E che, in particolare, nel portare avanti gli esperimenti a supporto o meno della teoria, la motivazione dei soggetti è un fattore che ostacola o favorisce la buona riuscita dell'esperimento.

L'articolo è tradotto in italiano su Internazionale di questa settimana (cartaceo).

venerdì, marzo 21, 2008

Best friend. Anzi no

Facebook si premura di farmi sapere via mail cosa pensano i miei contatti tramite il magico "Compare people" (pheeew!):

Here is what your friends think about...

... your strengths:

most artistic
most cuddly
nicest

... your weaknesses:

best friend
most studious


Ora, la fama di secchiona mi accompagna dalla scuola elementare, e ha semplicemente subito una mutazione in "maestrina" appena ho finito il liceo. Voglio dire, ne ho preso atto.
Quello che mi lascia perplessa è che secondo i parametri di Facebook - che chiama "amici" le persone che appartengono alla tua rete di contatti - il fatto di essere "una buona amica" sia considerato un punto a mio sfavore.

(appena becco chi mi ha votato best friend devo sputargli in un occhio a scelta, è così? Giusto?)

giovedì, marzo 20, 2008

Thought from an Israel trip

Josh è appena tornato da un viaggio in Israele. L'AIPAC, una potente lobby americana pro-Israele ha offerto questo viaggio a un gruppo di giovani giornalisti per far conoscere loro la politica interna di Israele, attraverso visite e colloqui.

Oltre alla complessità dell'approccio a questa esperienza - che per lui ha chiaramente un livello in più, facendo parte della sua cultura - Josh ha avuto diversi problemi a capire come per i suoi compagni di viaggio " there’s seemed to be no gray area at all".

Qui alcuni pensieri sparsi sul suo viaggio:

But after traveling across the country for a week, I certainly know more than I knew before, and can better explain why I have trouble understanding my approach to Israel, and the appropriate role it and its politics should play in my life. I have a feeling I’ll always be confused about what I think is right for that country, and how connected I should feel to it.

But for many of my traveling colleagues, there’s seemed to be no gray area at all. Cynical comments about “the Arabs” and McCarthyite witchhunts of suspected anti-Semites obscured our chance to find out more about the country and its politics.

mercoledì, marzo 19, 2008

Omonimo africano

Quando poco fa mio padre mi ha detto che la prof di Storia dell'Africa di mio fratello pensa di dargli una tesi di laurea su Patrick Lumumba ho passato qualche secondo di dubbio a decidere se si fosse rincretinito più mio fratello o la sua prof.
Non venendone a capo, ho preso tempo con un "chi?" dubbioso. Mio padre mi ha gentilmente spiegato che trattasi in realtà di tutt'altra persona.


(ecco, un piccolo passo verso un atomo di cultura in più, un piccolo passo verso la consapevolezza che il 21enne fratello minore ne saprà sempre a pacchi più di me su circa qualsiasi argomento. Bello, eh.)

lunedì, marzo 17, 2008

Il fango e la felicità

Oggi alcune chiacchierate - separate - sul voto e l'informazione (e in entrambi i casi: la disillusione, l'indecisione, l'insoddisfazione) mi hanno fatto pensare a una cosa che ho letto ieri:
Siamo ancora immersi nel "viscido fango del mondo reale" di cui parlava Paul Klee. Che insegnava però come "lo scopo di un quadro è sempre quello di renderci felici". E anche noi del pubblico attivo che agisce su questo medium orizzontale fatto di noi stessi, siamo insieme disgustati dal fango e rafforzati dal desiderio e dalla visione della possibile felicità. La consapevolezza di cui abbiamo bisogno ci deve condurre a distinguere e tener presente contemporaneamente il fango reale e la felicità possibile. Per arrivare lucidamente - per quanto ne siamo capaci - a vedere le conseguenze di quello che facciamo.

Il post di Luca De Biase è da leggere per intero:
C'è un pubblico attivo che nell'ambito dell'informazione sta facendo quello che un'ampia società di eroi, che credono ancora nel valore di dare alla società una possibilità per la convivenza civile, che lavorano per portare nel fango di comunità in difficoltà un poco di luce e di speranza (ne esistono in ogni istituzione, in ogni regione, in ogni quartiere degradato), che fanno bene il proprio mestiere (nella pubblica amministrazione e nei giornali, nelle aziende e nelle istituzioni...) nonostante che nulla li incentivi a farlo se non il loro senso del servizio alla società... C'è una connessione tra quegli eroi e il pubblico attivo che va definita, scoperta, linkata. Questa gente attiva e socialmente consapevole deve maturare una consapevolezza comune, pur nelle differenze ideali che tra loro si danno e non si discutono.

Il rinnovamento che stiamo compiendo in questo periodo storico passa attraverso la consapevolezza di un ecosistema comune e di una coda lunga di interpretazioni diverse.

domenica, marzo 16, 2008

Gente de Roma / Fenomenologia in fieri

I romani che incontro in giro sono educati, devo dire. Dicono sempre signorì, e a volte anche signorina.
I romani che incontro in giro sono socievoli e questo a me fa piacere.
I romani vogliono spesso sapere i fatti tuoi, specie i tassisti.
Questa settimana mi è capitato di prendere il taxi più volte: una volta il tassista mi ha detto che ha paura se viene eletto Berlusconi, ha disquisito sullo scandalo del governatore Spitzer e del nostrano Mele e mi ha fatto ascoltare alcune imitazioni di Fiorello.
Un'altra volta, chissà come mai, un altro tassista ha voluto sapere i fatti miei, il mio lavoro, se avevo il fidanzato eccetera.
Ora, a me certe cose indispettiscono, specie a mezzanotte e mezza. Però era un signore un po' anziano e tanto educato e sono due condizioni che mi impediscono di tagliar corto e dare risposte indisponenti.
E così ho raccontato i fatti miei al signor tassista. Inventandomi tutto di sana pianta, e ricevendone consigli molto saggi.

Lo stato dell'arte. Contemporanea

Segnali di miglioramento nella situazione dell'arte contemporanea in Italia in un lungo articolo del New York Times:

This winter the government, chronically geriatric, fell for the umpteenth time. Decades of festering indecision caused rotting garbage to pile up in the streets of Naples.
But then there’s the contemporary art scene.

A new museum is under construction in Rome, nicknamed Maxxi, designed by Zaha Hadid. A museum opened not long ago in Bologna called Mambo. (Italians love their acronyms.) The Prada Foundation has just bought an exhibition space in the south of Milan; Rem Koolhaas will be that architect. And in the north of Milan there’s Hangar Bicocca, a vast former Pirelli factory devoted to gigantic installations; Anselm Kiefer’s, an awesome series of towers built of tottering concrete blocks, has justly become a pilgrimage site.


10 domande/2. La blogosfera politica e la consapevolezza dei candidati: sfatiamo i miti, ma anche no

[Ri-disclaimer: lavoro al progetto 10domande, ho seguito 10questions che ne ha creato il format e ne ho anche scritto in passato. Per dire che sento anche un legame “affettivo” con questa iniziativa. Insomma, ci credo.]

Altre osservazioni sparse.
Il post precedente finiva con questa frase "Sono convinta che la nostra massa critica si farà con processi non del tutto prevedibili, che avranno somiglianze, ma anche (soprattutto?) differenze e peculiarità rispetto ad altre nazioni. Insomma, non ha senso misurare aspettandosi le stesse tappe."
Parlando di 10domande la parola esperimento è d'obbligo. E non per una forma di giustificazione ma perchè è quello che è. Con tempi tanto ristretti prima delle elezioni abbiamo avuto poco tempo per ripensare il format di 10questions adattandolo alla realtà italiana.

Il progetto originario godeva dell'appoggio di attivisti e della cosiddetta blogosfera politica di cui sopra, un consenso bipartisan, lo ricordo.
Qui un altro appunto. Si parla spesso dell'assenza di blog politici di rilievo mentre negli Stati Uniti i giornalisti scrivono sui blog, i blogger diventano giornalisti e comunque, in generale, alcuni di loro sono diventati opinion leader seguiti dal pubblico e (forse per questo?) rispettati dai media tradizionali e dai candidati. Sto banalizzando, sia chiaro.

In realtà, va detto, anche negli Stati Uniti i blog politici sono ben lontani dall'essere pervasivi come mostra l'ultima di molte ricerche condotte sul tema. Però, come ben sintetizza Emiliano Germani su Spindoc:
Anche se molti internauti americani non li leggono o non li reputano affidabili, i blog politci esercitano una forte influenza mediata sull’opinione pubblica attraverso due canali: condizionano le strategie delle campagne elettorali e incidono sulla copertura da parte della stampa dei candidati e dei temi in discussione”.

E i candidati?
Lo scorso maggio Andrew Rasiej e Micah Sifry hanno lanciato una sfida dal palco del Personal Democracy Forum chiedendo "Who will be America's First TechPresident?". Hanno poi fatto un'approfondita analisi con tanto di voti per tutti i candidati democratici e repubblicani relativamente alle loro proposte politiche sulla tecnologia, con voti da A- a F.

Insomma, i candidati negli USA stanno facendo grandi cose in Rete per la loro campagna elettorale ma con gradi diversi di consapevolezza. Parte della differenza sta nei candidati, ma anche nella cultura organizzativa della campagna elettorale, che si evolve, capisce, adatta e utilizza il valore di ogni nuovo strumento.

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10 domande/1. La massa critica che si farà

[Disclaimer grosso come una casa: lavoro al progetto 10domande, ho seguito 10questions che ne ha creato il format e ne ho anche scritto in passato. Per dire che sento anche un legame “affettivo” con questa iniziativa. Insomma, ci credo.]


Di 10domande hanno parlato diverse persone ormai: complimenti, critiche, riferimenti in contesti più ampi (segnalo il recente articolo di Sergio, tra gli altri).
Del resto, Nicola sta aggiornando il suo blog con tutte le evoluzioni del progetto, incluse alcune le conversazioni che l'iniziativa ha generato.
Io faccio alcune osservazioni a margine, non necessariamente collegate tra loro.

1. Le domande “autoreferenziali”
Una cosa emersa spesso in post e commenti è che il fatto che il primo “bacino di utenza” di questa iniziativa fosse la Rete – segnatamente, la blogosfera – ha causato una prima concentrazione delle domande su temi che alla Rete sono legati.
Condivido la risposta che Nicola ha dato nel suo ultimo post: “Ci sono sicuramente temi più urgenti o di maggiore attualità, ma sono proprio quelli affrontati nelle innumerevoli tribune televisive. Il senso di un progetto come 10domande potrebbe essere anche quello di far emergere questioni su cui normalmente si sorvola”.
Senza contare che basta dare un'occhiata al sito per vedere che alcuni quesiti sono tutt'altro che scontati e “astratti”. Vedere per credere.

2. Metterci la faccia
Se ne parlava anche in ufficio: siamo rimasti sorpresi del fatto che nessuno abbia scelto modalità "alternative" alla domanda registrata davanti alla webcam. L'unica eccezione è quella di David Orban, che ha registrato due domande, una delle quali all'interno di Second Life.
Un mio collega suggeriva che chi non voleva "metterci la faccia" avrebbe potuto riprendere altro , magari qualcosa che esemplificasse il problema (la spazzatura, per fare un esempio banale) e registrare la domanda parlando in sottofondo.

3. Le (presunte?) barriere tecnologiche
Si è parlato anche del fatto che una videodomanda ponga una barriera “tecnologica” a chi vuole partecipare. Certo, è un problema, non lo metto in dubbio, e può “spaventare” alcuni.
Ma secondo me crea anche un gradino superiore di motivazione. Mi spiego: non vorrei che l'iniziativa prevedesse di scrivere una domanda nello spazio di un sms, come alcuni avrebbero preferito; penso che una modalità di quel genere avrebbe molto incrementato il numero di domande, a scapito della qualità (per esempio con un grosso rischio di duplicazione, tanto per dirne una).
È vero, è un discorso che ha un senso molto relativo se si considerano le percentuali ancora basse di utilizzo della Rete e sopratutto le modalità (e la mancanza di information literacy potrei aggiungere). Però quello che sempre più spesso ci raccontiamo è che le barriere tecnologiche di questo genere sono le meno difficili da superare, e io di questo sono sicura. La massa critica nasce anche per emulazione, perchè guardiamo gli altri fare cose nuove, sconosciute, e scopriamo che sono utili, ci semplificano la vita, ci fanno divertire, ci fanno conoscere cose nuove.

Il mese scorso a State of the Net ho avuto l'occasione di parlare a lungo con gli altri ospiti stranieri e di confrontarmi su vari temi. Josh Levy scrive (in questo bel post) molte considerazioni interessanti che meritano una lettura integrale, ma una cosa in particolare mi ha colpito nelle sue conclusioni:
In Italy we seem stuck in the passive past. Indeed, Sifry says that on the web, Italy is in the place the U.S. was five years ago; the UK is two years behind. These words could have been perceived as offensive by the Italians here, but instead I noticed a sense of resignation.[...] we Americans are hopelessly optimistic, while the Italians constantly counter our hopeful outlook with cries of, "Yes, but..."

Siamo cinque anni indietro rispetto agli USA, come diverse persone hanno sostenuto? Non saprei quantificare, ma deve essere uno stimolo, non il contrario. E certi atteggiamenti sono dovuti anche all'atteggiamento "tipicamente italiano" osservato.

Sono convinta che la nostra massa critica si farà con processi non del tutto prevedibili, che avranno somiglianze, ma anche (soprattutto?) differenze e peculiarità rispetto ad altre nazioni. Insomma, non ha senso misurare aspettandosi le stesse tappe.

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sabato, marzo 15, 2008

Dio, Cesare e le elezioni spagnole (secondo Manuel Castells)

Ci vuole coraggio e una certa abilità per cominciare un articolo scrivendo "Gesù, oltre a essere Dio, era anche molto intelligente" e finirlo con "alle elezioni spagnole del 9 marzo io voterò per Gesù Cristo, nonostante quello che ci dicono di fare i vanitosi farisei che pronunciano il suo nome invano" e nel mezzo scrivere tutte le cose più sensate che possano venire in mente riflettendo sulle proprie intenzioni di voto.

Leggendo Internazionale (della settimana scorsa, tanto per cambiare) ho trovato questo articolo di Manuel Castells scritto alla vigilia delle elezioni spagnole:

Gesù, oltre a essere Dio, era anche molto intelligente. E sapeva che il suo regno era nei cieli, cioè nella mente delle persone, dove ognuno fa vivere i suoi dèi. Per questo disse di dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio.

E decise così di stabilire, senza ambiguità, la separazione tra la chiesa e lo stato. Ma proprio come è accaduto ad altri rivoluzionari, i suoi insegnamenti, ancora vivi per chi legge i Vangeli nel loro contesto e senza atteggiamenti settari, sono stati traditi nel corso della storia da chi si è eretto a rappresentante del potere divino sui corpi attraverso l'imposizione di un monopolio sulle anime.

Perché la chiesa, secondo il cristianesimo doc, non sono loro (i vescovi), ma siamo noi (i credenti, ognuno a modo suo). Così è stato alle origini e così è ancora oggi. Ecco perché ci sono miliardi di cattolici e altre centinaia di milioni di cristiani nel mondo per cui la spiritualità e la ricerca del senso della vita non dipendono dai proclami della gerarchia ecclesiastica, ma dal dialogo intimo che la loro mente intesse con il dolore dell'esistenza e il mistero della speranza.

È per questo che il cristianesimo è sopravvissuto duemila anni, superando anche la più grave minaccia dei suoi peggiori nemici. Cioè di quelli che hanno ucciso, torturato, censurato e commesso abusi in suo nome, attraverso il Sant'Uffizio.

Sono sempre stupita quando leggo i miei pensieri trasposti (meglio) in un linguaggio diverso dal mio. L'articolo è da leggere. Tutto.

Twitter (e gli zombie) in parole povere...

Grazie al blog di Twitter scopro l'esistenza di CommonCraft, una società di consulenza di Seattle. Lee e Sachi LeFever realizzano piccoli video di spiegazione "in plain English", un modo piuttosto simpatico di spiegare cosa sono blog, wiki, feed RSS, social bookmarking e Twitter (qui tutti i video su Youtube).
Sarebbe interessante capire se il metodo funzioni effettivamente con persone che non hanno dimestichezza con certi concetti.



Personalmente ho fatto un test guardando un video, il mio preferito, su un argomento di cui non sapevo molto:



Sempre a proposito del blog di Twitter (stranamente relativamente poche persone sanno della sua esistenza), devo dire che lo trovo piuttosto carino e ben fatto, giustamente molto informale, incluse le reciproche prese in giro...speriamo solo che in Elastic non venga in mente a nessuno di replicare l'idea!

domenica, marzo 09, 2008

Un invito al Personal Democracy Forum

(tu, sì, proprio tu, hai bisogno di essere convinto. Allora io ci provo, eh...)


Questa settimana ho finalmente comprato i biglietti aerei per New York, il prossimo giugno: anche quest'anno andrò al Personal Democracy Forum.
La conferenza esplora il rapporto tra tecnologia e politica, è organizzata dal gruppo di TechPresident (il contrario, in realtà: gli organizzatori della conferenza hanno creato TechPresident) e ha un elenco di speaker di altissimo livello.
E questo è quello che potrebbe dire chiunque guardi il sito con un po' di cognizione di causa.

Quello che posso dire io, essendoci stata, è che non mi era davvero mai capitato di passare due giorni così pieni e stimolanti, così carichi di idee e in un ambiente così completamente rilassato. E mi riferisco agli speaker, ma anche alla tantissima gente che vi ha preso parte.

Si dice e si sente dire spesso che siamo in ritardo su molte nazioni, USA in primis. Certo, questo è vero per molti aspetti e per molti motivi. E non è nemmeno detto che qui si debba fare lo stesso percorso, ma non credo ci sia niente di meglio del guardare cosa ne pensa - e quali soluzioni trova - chi ha un po' più di esperienza e un contesto diverso alle spalle. Voglio dire, le buone idee non si sa quasi mai da dove vengano o dove possano arrivare...


Lo scorso anno, quando ho letto della conferenza, ho pensato che mai avrei avuto occasione di essere a New York e di prendervi parte - ed è andata diversamente. Anche quello è stato l'inizio di un po' di cose ed è anche per questo che ho deciso di organizzarmi per tornare. A fine conferenza ho pensato che era stata un'occasione unica, e mi sbagliavo anche allora.
(Certo, un volo intercontinentale e una manciata di giorni a New York non sono una cosa semplice, ma in qualche modo...)

Ci sarebbero ancora molte altre cose da dire, e non escludo di parlarne ancora, ma, insomma, questo era per dire...vieni anche tu?


N.B. Poi, dopo questa tirata seria e sentita, mi toccherà sentirmi le persone che mi diranno "Eh, sì, la conferenza...tu ci vai per New York!!". E l'amore non si può negare, certo, però non è proprio solo così.
C'è anche da dire che, da quando ho acquistato i biglietti, sono più o meno di questo umore:


Davey Dance Blog -26- BROOKLYN BRIDGE - Ace Frehley - "NY Groove" from Pheasant Plucker on Vimeo.

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domenica, marzo 02, 2008

La mia Persepolis

(stasera, tornata dalla visione di Persepolis, ho ripensato a una cosa che avevo scritto un paio di mesi fa e l'ho recuperata)


Sono tornata a Roma, alla vita da ufficio, alla casa e alla piccola N., la coinquilina che mi riempie di cibo ogni volta che sono a tiro perché “lavori tanto e torni tardi, fai un lavoro difficilissimo, vero?”.

La piccola N. è minuta e persino più bassa di me e ha 18 anni, il che mi fa sentire una vegliarda ogni volta che ci penso. Mi racconta della facoltà di medicina, del ragazzo tatuato che ogni tanto viene a trovarla (con cui esce, ma poi lui non chiama mai), dei vestiti che ha comprato in un negozio. Sono cose normali, ma io un po' – e a torto – me ne stupisco.

N. viene da una famiglia molto benestante e aperta che ha deciso di far studiare lei e sua sorella tanto lontano da casa. Quando parla al telefono con i genitori lontani io cerco di andare in un'altra stanza. È una forma di rispetto che in realtà è totalmente inutile, dato che comunque non capirei una parola. Perché no, la piccola N. non è italiana.

Quando l'ho vista prepararsi per tornare a casa, prima delle feste di Natale, sbuffava sistemandosi in testa una specie di scialle. “Nel mio paese dobbiamo mettere questo” ha detto. Non so perchè ci ho messo un attimo più del dovuto a riconoscere il velo con cui le ragazze iraniane devono coprirsi la testa.

Al ritorno dalle vacanze le ho chiesto come si fosse procurata il livido sul braccio, sapendo la risposta. La piccola N. viene da un paese dove è normale che la polizia ti arresti e ti picchi per i motivi più assurdi, incluso un vestito ritenuto troppo corto.

Un paio di sere fa ho assistito a una violento rant (o anche: monologo incazzato) da parte di uno che ha cominciato auspicando il peggio possibile al Vaticano e a tutte le religioni, poi ha continuato mischiando tali e tante cose che alla fine, oltre ad aver perso il filo, ho temuto che sarebbe arrivato a prendersela con qualunque cosa, dal vino bianco ai blocchi di ghisa. Credo si aspettasse una risposta o una reazione da parte di qualcuno, ma per educazione mia ed evidente confusione sua, ho ritenuto che non fosse il caso di cimentarmi.
La cosa che mi ha colpito è che nel soliloquio in questione abbondava la parola libertà (mancanza di). Era tutto un: non siamo liberi per via della Chiesa, per via della mafia, per via del sistema (!), non decidiamo niente, non possiamo ecc.

Lo ammetto, tendo a essere un po' esigente e rognosetta quando si tratta di “presunto controllo altrui”. Non perché io pensi che tutto vada bene, non perchè io ritenga che la gerarchia ecclesiastica (e non solo quella) non abbia eccessiva influenza sulla società italiana, tanto per dirne una.

E però.

E però da quando conosco la piccola N. penso spesso a lei quando sento la parola libertà, perché mi pare abbia un significato talmente diverso da sembrarmi un'altra parola.


(inserire qui una frase di chiusura un po' leggera e fintosimpatica a piacere chè questa pare troppo seria. In fin dei conti è solo un'accozzaglia di pensieri e la lascio così)