lunedì, febbraio 23, 2015

"When legality becomes distinct from morality"


Ieri gli Oscar hanno premiato anche Citizenfour, il documentario su Edward Snowden e le rivelazioni del Datagate, sulla sorveglianza di massa e sull'attacco alla privacy.

Oggi Laura Poitras, Edward Snowden e Glenn Greenwald hanno risposto alle domande degli utenti di Reddit. Qui una risposta di Snowden, una riflessione che mi ha colpito particolarmente:
Ultimately, if people lose their willingness to recognize that there are times in our history when legality becomes distinct from morality, we aren't just ceding control of our rights to government, but our futures.   
How does this relate to politics? Well, I suspect that governments today are more concerned with the loss of their ability to control and regulate the behavior of their citizens than they are with their citizens' discontent.  
How do we make that work for us? We can devise means, through the application and sophistication of science, to remind governments that if they will not be responsible stewards of our rights, we the people will implement systems that provide for a means of not just enforcing our rights, but removing from governments the ability to interfere with those rights.  
You can see the beginnings of this dynamic today in the statements of government officials complaining about the adoption of encryption by major technology providers. The idea here isn't to fling ourselves into anarchy and do away with government, but to remind the government that there must always be a balance of power between the governing and the governed, and that as the progress of science increasingly empowers communities and individuals, there will be more and more areas of our lives where -- if government insists on behaving poorly and with a callous disregard for the citizen -- we can find ways to reduce or remove their powers on a new -- and permanent -- basis. 


Our rights are not granted by governments. They are inherent to our nature. But it's entirely the opposite for governments: their privileges are precisely equal to only that which we suffer them to enjoy. 
We haven't had to think about that much in the last few decades because quality of life has been increasing across almost all measures in a significant way, and that has led to a comfortable complacency. But here and there throughout history, we'll occasionally come across these periods where governments think more about what they "can" do rather than what they "should" do, and what is lawful will become increasingly distinct from what is moral.   
In such times, we'd do well to remember that at the end of the day, the law doesn't defend us; we defend the law. And when it becomes contrary to our morals, we have both the right and the responsibility to rebalance it toward just ends.

domenica, novembre 09, 2014

Barbarism, Civilisation, Cultures

If we have one term with an absolute content, ‘barbarian’, the same will be true of its opposite. A civilised person is one who is able, at all times and in all places, to recognise the humanity of others fully. 
So two stages have to be crossed before anyone can become civilised: in the first stage, you discover that others live in a way different from you; in the second, you agree to see them as bearers of the same humanity as yourself. 
The moral demand comes with an intellectual dimension: getting those with whom you live to understand a foreign identity, whether individual or collective, is an act of civilisation, since in this way you are enlarging the circle of humanity. In this sense – but in this sense only – scholars, philosophers and artists all contribute to driving back barbarity. 
In actual fact, no individual, let alone any people, can be entirely ‘civilised’: they can merely be more or less civilised; and the same goes for ‘barbarian’. 
Civilisation is a horizon which we can approach, barbarity is a background from which we seek to move away; neither condition can be entirely identified with particular beings. It is acts and attitudes which are barbarian or civilised, not individuals or peoples.

Tzvetan Todorov, "Barbarism, Civilisation, Cultures" in "The Inner Lives of Culture"

lunedì, settembre 22, 2014

Finalmente: il Personal Democracy Forum in Italia!



Tra una settimana esatta, il 29 settembre, a Roma si svolgerà il Personal Democracy Forum Italia.

Si tratta del primo evento di cui curo interamente i contenuti e della prima edizione italiana del Personal Democracy Forum, con cui collaboro dal 2010 (qui il programma).

Chi mi conosce sa che questo per me non è un evento come tanti, né un incarico di lavoro come gli altri.

Sono stata alla prima edizione di PDF (la sigla genera confusione, lo so) nel 2007, mentre facevo un tirocinio a New York: in quel periodo iniziavo a interessarmi di politica e, da quelle parti, cominciava una campagna elettorale che avrebbe cambiato parecchie cose.

Non ho più smesso di occuparmi di politica, né di andare a PDF, sia a New York che altrove: nel 2009 l'organizzazione decise di tenere il suo primo evento europeo a Barcellona e mi coinvolse come moderatrice di una tavola rotonda (in quella edizione, tra gli speaker, c'erano Diego, Antonio, Alberto... e anche un certo Julian Assange).
Dopo ci fu l'offerta di lavorare con loro, un'altra conferenza a Barcellona e numerose altre in diversi paesi europei.

Nel frattempo ho scritto parecchio, prevalentemente di cose che succedevano altrove, ma, allo stesso tempo, ho trovato anche in Italia una comunità di persone come quella che fa parte di PDF negli Stati Uniti e nel resto del mondo.
Persone che si occupano di temi che mi stanno a cuore: di diritti, di cambiamento delle dinamiche sociali, di un uso intelligente della tecnologia, che è uno strumento per creare, raggiungere obiettivi, coinvolgere sempre più persone, che dà possibilità a chi non ne aveva molte, che fa diventare il mondo un po' più grande.
Che può generare ulteriori diseguaglianze, anche, che non è scevro da dinamiche di potere e controllo, che non ha mantenuto molte promesse. Ma che può aiutare a mantenerne altre.

In questi anni sono successe molte cose e mi ha fatto sorridere riguardare la scaletta della seconda conferenza europea, targata 2010, sempre a Barcellona (certo, l'ho conservata, certo, quando parlo di tigna, ecco). Molte cose sono cambiate, molte hanno seguito il loro corso, diverse sono emerse in modo del tutto inatteso (o no?).

Ma dopo anni di tentativi, questo è un traguardo di cui sono contenta in modo particolare.
Perché - spero - darà un contributo a un dibattito sano, di alto livello e di respiro internazionale. Perché porterà in Italia speaker da tutto il mondo e li metterà a confronto con le migliori esperienze italiane.
Perché, come succede a me da diversi anni, mi auguro che l'ascolto e il confronto possano essere di ispirazione per riflettere e per agire. Per fare un salto dal quotidiano alla prospettiva, una cosa sempre più rara, di cui si sente sempre più il bisogno.

Da organizzatrice e curatrice della conferenza, spero che chi verrà abbia semplicemente la stessa esperienza che ne ho io: spalancare gli occhi, la testa, aver davvero bisogno delle pause per elaborare, aver voglia di andare a parlare con quello speaker o chiacchierare col vicino di quel che si ha appena sentito, pensare più volte "ecco, voglio fare questo/potrei fare questo/farò questo". Spero che chi verrà riuscirà ad allentare un pochino la presa delle cose da fare e immergersi.
Gli speaker in programma sono incredibili: non ve ne pentirete!

E agli altri... beh, c'è ancora tempo per iscriversi, eh!

Ci vediamo lunedì prossimo a Roma!


martedì, giugno 10, 2014

Marco, un anno dopo e un secondo di troppo

"Sei stata in giro oggi?"
"Sono stata a Roma"

Rientro alle 22, questo lo scambio tra me e il coinquilino prima di mangiare qualcosa e andare in camera, l'ennesimo giorno impegnativo di settimana molto impegnativa, di mesi... vabbè, ci siamo capiti.

Apro Facebook, già pensando ai prossimi viaggi, a State of the Net che si avvicina. L'occhio mi cade su un post, la giuria del FunkyPrize, clicco quasi automaticamente e leggo il breve post.
Non è che non capisca le parole, è che l'occhio mi cade sulla foto di Marco e ancora una volta, come tutte le volte da ottobre, il cervello mi fa lo stesso scherzo, ci mette un secondo di troppo a mettere a fuoco che Marco non c'è più.
Come quando sono col giro di persone che lo conosceva e a qualcuno scappa la parola "prestigio" e tutti ci blocchiamo, perché ormai non possiamo più dirla senza pensare a lui, quasi ci si sente in colpa a usarla.
Un secondo intero, tutte le volte - potrà essere così lento, il mio cervello?

Un groppo in gola, un dolore che è meno acuto ma che insospettabilmente è ancora lì, intatto.

Con Marco ho parlato l'ultima volta proprio a State of the Net. Ci siamo incontrati sul treno verso Trieste, vicini di posto per caso.
Non dico niente di nuovo se dico che la personalità di Marco era travolgente, così come la sua gentilezza, evidente anche a chi - come me - l'ha incrociato e ci ha chiacchierato molte volte, ma lo conosceva molto meno di altri.
In quel viaggio abbiamo riso molto, abbiamo parlato del suo amore per la Puglia, scoperto di avere un amico in comune. E poi Marco si è fatto più serio, mi ha chiesto di me, delle cose che stavo facendo in quel momento, mi ha ascoltato mentre raccontavo un po' di delusioni lavorative e di alcune difficoltà.

Non ricordo le sue esatte parole - e se le ricordassi non avrebbe senso ripeterle - ma ricordo di aver avuto quella strana sensazione, il sentirsi stimati davvero da una persona che si stima (e di cui un po' non ci si ritiene all'altezza). Strana, sì, perché è in ambito lavorativo è comune sentire dichiarazioni plateali di amicizia, di fratellanza persino, ma che non vogliono dire niente. La stima, quella è un'altra cosa.
Da quella conversazione che non pensavo di voler avere (condividere delusioni, errori? Ma andiamo!), sono uscita rinfrancata, più sicura, più fiduciosa, pronta a un'altra lunga serie di viaggi, fatica, soddisfazioni e altre delusioni.

Non è stata l'ultima volta che abbiamo parlato, naturalmente: il weekend a Trieste è stato pieno, la conferenza ha stimolato moltissimi discorsi e l'intervento di Marco è stato - oltre che acuto - decisamente il più divertente. Ho pensato molte volte di rivederlo, ma il fatto è che me lo ricordo tutto. Ricordo anche che, mentre rivedeva la sua presentazione prima di salire sul palco, gli avevo consigliato di usare una parola al posto di un'altra. Lui mi aveva ringraziato e durante l'intervento ci aveva scherzato su.

Marco che mi dà simpaticamente della secchiona e io che lo ammetto molto consapevolmente - questo è l'ultimo ricordo che ho.
E il suo dirmi che le cose che sto facendo devo continuare a farle, che ha senso che le faccia, che ha senso che ci creda, nonostante le difficoltà e le delusioni.


Ci penserò ancora giovedì, quando riprenderò il treno verso Trieste.
Ci penso ora, tornata da una riunione a Roma su un progetto che tento di realizzare da anni e che finalmente vedrà la luce.

Non ricordo le esatte parole, ma no, non ho dimenticato niente.
È solo quel groppo in gola, quello scherzo del cervello che ti fa pensare che ricordi male.
È solo quel secondo di troppo ogni volta.

C'è qualcosa di interrotto, di incompiuto, ci si ripete in questi casi.
A me, però, piace pensare che la gratitudine sia un conto che resta aperto.

domenica, maggio 25, 2014

I dati, una questione di potere

Lo spiega Cathy O'Neil aka Mathbabe:

Data and data modeling are not magical tools. They are in fact crude tools, and so to focus on them is misleading and distracting from the real show, which is always about power (and/or money). It’s a boondoggle to think about data when we should be thinking about when and how a model is being wielded and who gets to decide.
Uno dei principali problemi che abbiamo è che i dati vengono raccolti e conservati ma i modelli per analizzarli non sono ancora stati inventati, in gran parte.

Una pressante questione per il presente, ma - e soprattutto - per il futuro.

giovedì, maggio 15, 2014

"Let's talk about sex, baby, let's talk about PGP"

Un paio di settimane fa, durante Re:publica 2014, Jillian York (della Electronic Frontier Foundation) e Jacob Applebaum (Tor Project) hanno messo su una specie di talk-show per parlare di sorveglianza, delle conseguenze che può avere per tutti - sì, anche se noi "non abbiamo niente da nascondere" - e degli strumenti per proteggere se stessi e gli altri.

Il titolo era "Let's talk about sex, baby, let's talk about PGP" e utilizzava la metafora del sesso sicuro per parlare di come usare la tecnologia per proteggerci dalla sorveglianza di massa.

Enjoy!

sabato, aprile 12, 2014

Vivere col salario minimo - un esperimento politico

I miei amici Giorgia e Ben vivono a New York, con il loro cane Skye.

Dal 1° aprile al 31 maggio si sono imbarcati in un progetto interessante, che li metterà certamente alla prova. Si chiama Living on the Minimum Wage experiment.

Ecco come lo presentano (qui la versione in inglese)

Courtesy of Freerangetalk
Per 2 mesi (sì, 60 GIORNI) vivremo con il salario minimo di $8 l'ora, cioe' $1300 al mese. Lo facciamo perche' quando Obama ha proposto di alzare il salario minimo a $10.10, alcuni han gridato al lupo e hanno detto che stava per rovinare l'America. Ci siamo chiesti quindi come fosse la vita a NY per chi guadagna $8 l'ora, e se guadagnando 2$ in piu' l'ora si spenderebbe anche di piu' (metti in circolo i soldi, era cosi' lo slogan?) e per comprare cosa.

Quando tutto costa troppo, cosa compri? A cosa rinunci? Come fai a procurarti del caffè decente?

Date un'occhiata al loro blog e se conoscete escamotage... fateglielo sapere!
In bocca al lupo!