Il titolo è suggestivo, ma ingiustificato, appena un po' simbolico.
I giorni dell'abbandono sono quelli in cui la tua coinquilina da quasi sei anni parte per andare in una nazione un po' sperduta, mal collegata e anche un po' pericolosa. Lo fa per un progetto in cui crede ed è la prima vera cosa che fa da tempo e che le piace davvero: la scelta migliore, in teoria (sempre che non si ritrovi coinvolta in qualche colpo di Stato, ipotesi peraltro non remotissima). Poi hai un bel dire che da quando ha un ragazzo non c'è mai, che ha un carattere difficile da gestire e che magari si finirebbe a litigare se restasse. Ci sono solo tre persone con cui vivo e che “vivo” quotidianamente, nel bene e nel male, da quando mi sono trasferita a Bologna. E una va via per un anno.
I giorni dell'abbandono sono anche quelli in cui ti rendi conto che vali un pochino troppo per certe persone. E alla fine è solo una delusione, non fa nemmeno male, altrimenti non troveresti così divertenti i commenti dell'amica più sarcastica (“sounds like a winner”).
Sono anche i giorni, poi, in cui anche tu abbandoni l'idea di far funzionare delle cose solo con l'impegno e la buona volontà, ché non sempre basta, i giorni in cui vedi che gli equilibri cambiano, che la gente parte e va a vivere altrove e tu non puoi farci niente, che la tua vita cambia e tu hai un controllo molto relativo sulle cose. E allora abbandoni i soliti modi di fare e di pensare, e cominci ad affrontare un problema alla volta. Man mano che si presentano. E rinunci ad affannarti perché, tanto, non sei nelle condizioni di fare programmi a lungo termine. Diciamo tra i cinque minuti e una settimana.
In questi giorni dell'abbandono non ho quasi toccato il computer e me ne sono accorta solo dopo. Non ho preso fiato e ho aspettato con ansia il lunedi. Il weekend è stato una specie di hangover, un post-sbornia senza aver bevuto, la testa pesante, i pensieri per la testa e il sonno da recuperare.
Nei giorni dell'abbandono ci sono io, abbastanza diversa da prima e abbastanza soddisfatta di me stessa. Non so ancora rispondere alla fatidica domanda (che tutti mi fanno): “Cosa vuoi fare da grande?”. Non sono sicura di quali sogni ci siano nel cassetto, devono essere finiti in fondo. Se apro e ci guardo dentro, nel cassetto ci sono le domande. Sono lì dentro così non mi danno noia mentre faccio le cose serie. Ogni tanto, se è il caso, do una sbirciatina.
Prendo fiato e ricomincio. Va bene così.
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