sabato, ottobre 18, 2008

Obama a Pietralata: discorsi sull'infatuazione per un leader

Ieri sono stata a Pietralata a un incontro organizzato dai Mille dal titolo "Obama Revolution: infatuazione collettiva o politica nuova (anche per il PD)?".

Diego e Ivan Scalfarotto hanno parlato della figura di Obama, dell'impatto di novità che porta nella politica – a partire dal suo stesso partito – e nella società, e in tutti quelli che ha fatto appassionare alla politica.

Sono considerazioni di cui si è detto e di cui ho parlato spesso (e quindi non mi dilungo) ma che, secondo me, ha valore portare in contesti diversi, con persone diverse da quelle che di solito parlano “dall'alto” di giornali e salotti televisivi. Io, poi, in un incontro in sezione (circolo? Uhm, vabbè) non c'ero mai stata, e i contesti nuovi mi incuriosiscono, specie se ci vedo vita. E mi ha fatto molto piacere, non è scontato trovarne.

Di qui in poi riflessioni sparse e del tutto personali sui discorsi di ieri




(Non) mettiamoci la faccia

Nell'introduzione Francesco Costa ha puntualizzato giustamente che forse il titolo esatto sarebbe stato "infatuazione collettiva E politica nuova". Lo trovo molto vero e questo mi dà occasione di dire una cosa che penso dall'inizio (e che avrei voluto dire ieri ma non ce n'è stata occasione): l'infatuazione, in quanto tale, finisce. Sempre.
Se Obama diventasse presidente diventerebbe comunque Presidente degli Stati Uniti: se tutto va come si spera, si troverà in una posizione di potere che lo porterà sicuramente a fare scelte impopolari e magari anche sbagliate (parlo di guerra ed economia, innanzitutto). E questo senza necessariamente tradire se stesso o le cose che ha detto.



Sì, il contesto sì. Un altro.

Ieri Michele faceva notare la retoricità dei discorsi di Obama, di temi e modi che hanno presa negli Stati Uniti ma che mai potrebbero averne qui, basti pensare ai riferimenti religiosi e ai racconti legati alla conversione, una cosa impensabile in Italia.

Qui da noi, per dire, i politici nostrani a intervalli regolari affermano (con varianti sul tema) di aver trovato la fede o la spiritualità etc. Un modo come un altro per strizzare l'occhio al Vaticano e al suo potere, una offesa bella e buona per chi la fede ce l'ha davvero e la vive quotidianamente nonostante tutto (anche il Vaticano ;-) ).

In generale la cosa che mi ha sempre colpito dell'infatuazione di Veltroni per Obama è proprio questa, voler importare un modo di dialogare diverso in un contesto diverso, con tutte le implicazioni, talvolta ridicole, che si immaginano e che si sono viste. Insomma, qui non siamo negli USA, si è notato?


Si sono fatti frequenti paralleli con Veltroni, certo. Ma si è parlato anche di altri leader stranieri: Zapatero, naturalmente, ma anche (e ho apprezzato molto Scalfarotto per averlo fatto) anche di David Cameron, quarantenne leader dei Tory, il partito conservatore britannico, partito che ha saputo scegliere una figura giovane, “di rottura” (approccio che ha spiazzato diversi amici laburisti che me lo raccontavano), se vogliamo, ripensarsi, reiventarsi, parlare e anche, credo, ascoltare – e non mi pare troppo curioso che parte di questa strada sia passata anche dalla Rete.

(nota: Scalfarotto ha sottolineato come lo stesso Sarkozy sia di “rottura” rispetto a Chirac, non in continuità, sebbene in analoga area politica)


Guidare e non rincorrere

Si è parlato poi di questo episodio, ne riporto la cronaca del Messaggero:

La soluzione, per Veltroni, è quella di lavorare a un patto educativo tra sinsegnanti e genitori: «Dire non una destra che vuole educare con la tv». È dopo questa frase che gli applausi scroscianti per il leader del Pd hanno lasciato posto all'urlo di un contestatore: «Lo dici proprio tu che hai fatto l'accordo con loro su Petruccioli!», ha gridato Marco Quaranta, insegnante di violino mostrando un articolo di Repubblica datato 23 settembre dal titolto: "Rai, Veltroni Rilancia Petruccioli". Veltroni ha risposto che l'augurio è che in commissione di vigilanza la maggioranza rispetti la scelta del candidato dell'opposizione, Leoluca Orlando dell'Italia dei Valori. E prendendo il contestatore per un grillino ha aggiunto: «Dovunque vado faccio sempre la stessa domanda e cioè: dov'è finito Grillo? Da quando c'è la destra in Italia è sparito». Applausi dalla platea, ma il contestatore non si ferma e grida: «Io non sono uno di Grillo, sono un iscritto al Pd». E Veltroni, che di scuola ed educazione aveva parlato fino a poco prima ha ribattutto: «E allora la prima cosa che devi imparare è la buona educazione...».


Dettagli aggiunti ieri: il “contestatore” è un maestro, membro del PD, attivo nel fare campagna per Veltroni.

Ecco, una cosa molto importante detta ieri nel confronto tra Obama e la leadership di casa nostra è che non solo Obama sa parlare alla gente ma sa guidarla mentre chi guida la politica (nel PD, ma non solo) segue quello che vuole la gente, ma non prende decisioni che “guidano”.

Di più, la sensazione che si ha guardando Veltroni è che vada avanti facendo cose – alcune anche condivisibili, se vogliamo – ma senza assolutamente avere idea di quello che gli sta attorno, del motivo per cui fa certe cose.

Rifiutare il confronto con chi lo vota e si spende per lui, come nell'episodio di cui sopra, imporre le proprie idee (anche su questioni di “scarsa rilevanza”) come nel caso delle elezioni della giovanile del PD, e in generale assumere una posizione del tipo “fate un po' quello che vi pare, basta che mi lasciate in pace a decidere” (questo è quello che ha detto, in sostanza, a luglio nell'incontro alla festa del PD a Roma) vuol dire non avere capito niente del proprio ruolo. Peggio ancora se questa presunta guida gioca a rincorrere, completamente slegata dal contesto.

Questo è gravissimo per chi la politica la fa di professione. (Professione, capito?)

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