Ora, non so se il suo appartenere alla Adam Smith Society (!) renda questa sua affermazione perfettamente coerente nella sua mente.
Ma forse sono io che penso male e lui parlava semplicemente della caducità della vita...
1. Il pubblico è esigente. O no?
Tra l’altro non credo che ci sia pubblico esigente e pubblico non esigente. Il pubblico è sempre esigente: è la tecnologia che ci permette di avvicinarci alle necessità di chi ci legge.
Non so se sono completamente d'accordo con questo commento di Baldo.
Forse il pubblico è sempre esigente, ma non sempre è critico (e allora, poi, si può davvero dire che sia esigente? e cosa esige?).
C'è tanta, troppa parte di pubblico che "non si sente in dovere" di esserlo: le notizie e l'informazione in genere (anche quello che sappiamo sugli squillini, per dire) sono qualcosa che ci viene portato davanti alla faccia, spinto sotto il naso, e che ascoltiamo, vediamo, leggiamo. E così siamo abituati - perchè dovremmo sforzarci di fare diversamente?
Ma non sarebbe diverso il nostro approccio se sapessimo che una nostra esperienza o conoscenza può contribuire a migliorare l'informazione che arriva gli altri e a noi stessi?
La chiave per rendere il pubblico più "critico" potrebbe, e dico potrebbe, essere farlo partecipare.
Forse più di qualche persona vorrebbe dire la sua ma non sa bene come fare.
(...la Rete, la Rete, ok...è un peccato, ma no, non si può dire che ci sia fruizione abituale per buona parte della popolazione, nè che l'idea di partecipare venga automatica a molti).
Ma la potenzialità c'è tutta, a prescindere dall'età delle persone, per dirne una, e me lo confermano, ad esempio, gli aneddoti che Axell ha raccontato martedì parlando dell'esperienza di SanPaBlog.
Prendendo spunto dall'analisi bella e dettagliata di Antonio Sofi (che passerà alla storia come l'uomo degli squillini, di questo passo! :-P), presentata anche al BzaarCamp, ci sarebbero da fare parecchie considerazioni sulle differenze tra mass media come la radio, che "nascono" con l'idea di comunità attorno e che si sviluppano con una maggiore predisposizione a questo (basti guardare alla comunità di ascoltatori che ascoltano programmi radio - quella di Caterpillar, per citarne una) e con possibilità di interazione che vengono esplorate e stimolate.
Cosa che non si può dire di giornali (quasi mai) e tv.
2. I mass media...senza mass!!
Per quanto la tv sia il mass media che raggiunge il maggior numero di persone è molto difficile vedere una comunità di pubblico che si "coagula" attorno a una stessa trasmissione e apporta un qualsivoglia tipo di contenuto.
Ma se "fanno furore" gli sms che scorrono nella parte inferiore dello schermo durante molti programmi (e in pratica servono solo per far sentire la propria voce, perchè sono spesso solo messaggi personali) vuol dire che ci sono persone che hanno voglia di far sentire la propria voce. Perchè non pensare che sarebbero disposte a partecipare in modo più attivo?
E se questo vale per la tv figuriamoci per il cartaceo...perchè non si pensa a delle forme di partecipazione reale (e - magari - fidelizzazione effettiva)?
Parlando delle differenti reazioni al suo articolo da parte di pubblico che è arrivato dal web e di pubblico arrivato dalla radio, l'uomo do toque (questa ve la spiega lui se vuole) si chiede se la voglia di interazione e discussione derivi dal sentimento di appartenenza o se sia da ritrovarsi nelle differenti culture comunicative di web e radio.
E perchè un'analoga appartenenenza non viene generata da tv e stampa?
Una cosa che mi viene in mente è il mio stupore quando un anno fa una persona mi ha detto: "Sono un fogliante". E intendeva: sono un lettore del Foglio.
Che, si badi, quanto a diffusione, non ha mica questi grandi numeri. Ma ha un'influenza ben superiore a quello che mostrano i numeri, per una serie di altri motivi (per chi fosse interessato: lo speciale di Problemi dell'informazione - dicembre 2005).
Non so molto di questa eventuale community, ma ad ogni modo c'è, se è vero che ci sono persone che usano una parola per definire il loro essere lettori di un giornale.
3. Giornali, community e occasioni perse
A BzaarCamp Mafe parlava di community e di giornali, con riferimento ai giornali femminili.
Pur non comprandolo, ho spesso la ventura di avere spesso per casa Vanity fair. Devo dire che condivido appieno quello che Mafe ha detto sulle potenzialità non sfruttate del sito della rivista, praticamente inesistente, a fronte di un giornale che va oltre il concetto stereotipato di giornale femminile tutto moda e gossip e che convoglia una buona partecipazione.
Una cosa davvero curiosa, per dire, è che c'è un'apposita rubrica (subito dopo quella "classica" delle lettere al direttore) in cui i lettori fanno notare refusi, informazioni non corrette e via dicendo. Beh, deformazione o no, l'ho vista e ho pensato ai blog, anche per il tono delle lettere (e delle risposte, in un certo senso).
Insomma ci vuole coraggio per provare e forse questo coraggio uno se lo può anche dare, magari con macchine più "snelle" come base: le nuove esperienze di free press (o di riviste - perchè pensare sempre e solo ai quotidiani?) potrebbero fare da precursori, se certi esperimenti vengono gestiti con intelligenza.
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