American Redaction - Truthout.org (CC BY-NC-SA 2.0) |
In questo momento non ho tempo e modo di affrontare nel merito le recenti questioni italiane sulla Rete - parlano in tanti, se non posso farlo bene, preferisco non farlo affatto. Una cosa, però, voglio dirla, a margine (e relativamente nel merito): noto che sempre di più su questi temi si lavora sempre meno per fare cultura e sempre più spesso per creare delle categorie pseudomanichee di buoni e cattivi, perché è sempre più facile puntare il dito e basta, mettendosi implicitamente nella categoria "ho ragione io" - che è persino meglio di quella dei buoni.
Ho letto pochissime cose analitiche e costruttive, anche da coloro che si sono sentiti "investiti" del compito di mettere in chiaro la questione originata dall'intervista di Laura Boldrini a Repubblica. E la verità è che, se manca quello, beh, perderemo.
Perderemo perché ora le leggi in teoria ci sono e in pratica spesso non vengono applicate.
Perderemo perché oggi le leggi a volte arrivano a regolamentare qualcosa che già esiste o a garantire diritti in contesti in cui la società è più avanti del legislatore (e ovviamente parlo di molti diritti, non solo quelli relativi alla Rete), ma in cui senza il legislatore non può davvero avanzare.
Perderemo se non capiamo che le leggi sono un tassello e la cultura è il puzzle.
Perderemo se non guarderemo più il puzzle e la figura che compone.
Perderemo se continueremo a fissare e fissarci su un pezzo, quello che magari conosciamo anche, e che per questo - a torto - pensiamo in qualche modo di possedere.
(e sì, la mia prof. di filosofia me lo diceva sempre, di lavorare sul dono della sintesi)