Non mi occupo di libri per lavoro e a volte mi dispiace, per quella comune deviazione del pensiero che ci fa immaginare quanto sarebbe bello occuparci tutto il tempo di cose che amiamo (come se amarle bastasse a renderci adatti a occuparcene per lavoro).
Non mi occupo di libri e a volte penso che sia meglio, perché non so se sarei brava o rigorosa, per quanto ho letto, quanto poco sistematicamente rispetto alla quantità, quanto disordinatamente, quanto voracemente. Non so se renderei giustizia a un libro, non so se sarei capace di analizzare, di capire, di farci tutte quelle cose che fanno le persone che scrivono i libri e che coi libri - sui libri - ci lavorano.
In certi periodi (come questo), con un po' di fortuna, riesco a trovare un po' di tempo e a mettere insieme un po' di libri e il tempo per leggerli e respirare un po'.
A volte, con molta fortuna, mi capita di tornare a casa e, per una serie di coincidenze, ritrovarmi a leggere una piccola storia con tutte le parole al posto giusto, con le immagini nitide, con la storia di un altro e però il ricordo della prima volta che il mondo là fuori mi ha deluso.
Non mi occupo di libri e a volte penso sia una fortuna, soprattutto quando sento chi ci lavora parlarmi di deformazioni professionali in varie forme e dirmi che, spesso, i libri non riesce più a goderseli.
Non so se sia vero, o se sia vero sempre, ma il rischio, se c'è, non vorrei correrlo, perché son sempre stati l'unico modo per perdermi, nel senso migliore del termine, ed è una cosa che mi riesce sempre meno di frequente. Come stasera.
venerdì, settembre 24, 2010
mercoledì, settembre 22, 2010
sabato, settembre 18, 2010
Aftermath
Ora che anche io ho lasciato quella città, trovo difficile liberarmi dalla sensazione che la vita contenga una perenne sfumatura di posteriorità. In inglese esiste una parola, aftermath, che indica ciò che segue a un evento.
Qualcuno una volta mi ha spiegato che, letteralmente, il termine si riferisce a una seconda falciatura del fieno nella stessa stagione. Chi fosse incline a osservazioni di ordine generale potrebbe sostenere che New York City calchi la mano sulla ciclica falciatrice della memoria, quella sorta di deliberata riflessione postuma che sortisce l'effetto - almeno così si sente dire, e desolatamente si spera - di sfoltire l'erboso passato riducendolo a proporzioni gestibili.
Perché quello continua a ricrescere, ovviamente.
Joseph O'Neill, La città invincibile
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