30 aprile
New York, primo giorno.
Caldo spropositato per essere la fine di aprile.
Primo impatto come al solito: risata da deficiente. Sorry, ho delle reazioni di entusiasmo completamente sballate. Ci ho provato, davvero, a controllarmi. Sono uscita da Penn Station e ho cominciato a camminare uno, due, tre blocks...niente, all'altezza di Grand Central ero già lì a ridacchiare senza un motivo apparente.
Poi mi sono calmata e ho cominciato a gironzolare in attesa dell'appuntamento con Roberta, valente tirocinante alle Nazioni Unite, e
Sara, stessa sorte all'istituto di cultura italiano.
Per motivi che tuttora non mi sono ben chiari ci dirigiamo alla volta di
Williamsburg, quartiere di Brooklyn, recentemente assurto a patria elettiva degli "
hipsters", diciamo una specie di categoria di giovani a metà tra l'artistico e il wannabe-trendsetter. Il risultato, manco a dirlo, è che i prezzi delle case in questa zona si sono alzati rapidamente (sto cercando casa, deformazione), segno che si tratta ormai di posto alla moda.
Il quartiere è parecchio grazioso e dà l'idea di essere sicuro: un sacco di giovani, tanti locali, molto movimento, senza eccessivo casino, pare. Pare però che, come in molte zone di New York, bastino pochi block per cambiare radicalmente percezione sia della sicurezza che del tipo di quartiere, parole di Roberta che è quella che meno di tutti si lascia impressionare.
Sempre lei ci conduce in un locale dove è stata, lì, nei pressi. Il locale si chiama BanBalotto, somiglia a una tea room serale.
Che forse è un'espressione che non vuol dire niente, mi rendo conto.
Insomma, di pomeriggio si prende il tè, c'è spazio coi cuscini e i tavolini bassi, ci sono i narghilè. Però ci sono anche i tavoli normali e si può mangiare e bere.
Somiglia a un locale turco in cui sono stata. Ma non vuol dire, il proprietario infatti è egiziano. Un tipo parecchio simpatico che si chiama Ghaly di cognome (Roberta mi dice che l'altra volta le ha detto di essere parente di Botros Ghaly, boh...).
Dato che ormai è sera e non sappiamo cosa fare e siamo estremamente stanche decidiamo di fermarci e di prenderci una birra, nella fattispecie una
birra kosher parecchio buona di cui non ricordo il nome. Del resto parlando di birra non so nemmeno come si concretizzi
il concetto di kosher. La birra è buona, piuttosto amara, scura come una Guinness, ma non altrettanto corposa e, credo, un poco più alcolica.
Nel frattempo chiacchieriamo e ascoltiamo la musica di sottofondo, una cantante che canta in italiano qualcosa che sembra opera. Il nostro amico Ghaly ci dice che la cantante era egiziana ma cantava in francese e italiano e dovremmo conoscerla. "Si chiama Dalida" ci dice sorridendo. E allora io e Roberta saltiamo su a raccontargli di
Dalida e Tenco e Sanremo e della canzone che cantavano. Ed ecco - e a dirlo sembra finto - mentre stiamo ancora parlando parte
"Ciao, amore ciao".
A noi, sarà la stanchezza e il caldo e il troppo camminare, sarà un po' di fuso orario e la birra kosher a stomaco vuoto...insomma, a noi sembra una cosa speciale ritrovarci a New York (noi che due settimane fa non ci conoscevamo nemmeno) a parlare di Luigi Tenco con un egiziano in un locale di Brooklyn.
Ecco, questa è New York, primo giorno.