(note: due link di aggiornamento in fondo al post) Come
annunciato, giovedì ho preso parte all'incontro sulla regolamentazione della Rete organizzato dall'Espresso. Alessandro Gilioli, moderatore dell'incontro,
ha ben sintetizzato i punti chiave emersi.
Particolare oggetto di attenzione è stato
l'emendamento 50-bis, all'interno del disegno di legge 773 sulla sicurezza pubblica, che si propone di reprimere l’utilizzo di Internet per commettere reati di opinione (apologia di reato, istigazione a delinquere) oscurando i contenuti incriminati.
È opinione condivisa – in Rete e non solo – che queste disposizioni non solo non risolvano il problema per cui sono state proposte ma ne creino di ulteriori, con il rischio effettivo di oscurare interi siti e social network. Per una trattazione completa e circostanziata rimando, come ho già fatto, a quanto
ha scritto Elvira Berlingieri su Apogeonline).
Peggio l'ignoranza o la volontà repressiva?
Premessa: l'emendamento 50-bis proposto dal senatore D'Alia è stato presentato all'interno del pacchetto sicurezza che viene discusso in Commissione Giustizia. Il primo punto è dunque che non sia stata svolta una discussione in una commissione specifica, a fronte di una disposizione con effetti potenzialmente molto rilevanti.
Quello che sorprende, però – e lo abbiamo appreso tutti giovedì grazie a una segnalazione di Antonio di Pietro – è che l'emendamento D'Alia è stato inserito “fuori sacco” (per usare le parole di Di Pietro), cioè senza essere oggetto di discussione, di fatto sull'onda emotiva di notizie circa la presenza di gruppi Facebook che inneggiano alla mafia e altre aberrazioni.
Buona parte della nostra discussione ha riguardato l'ignoranza del contesto, sia per quanto riguarda la tecnologia che le dinamiche sociali peculiari della Rete, rilevanti in questo caso anche per quanto riguarda la circolazione e diffusione dei contenuti (spero di aver argomentato questo punto con sufficiente chiarezza durante il dibattito).
Antonio ne parla nel suo post e Sergio commenta:
L’ignoranza è il contesto che rende questi casi possibili. Ma il particolare che a me spaventa di più è il “fuori sacco”. Mi sembra un punto d’ombra nel sistema, anche quando - come in questo caso - resta ancora un passaggio parlamentare per sistemare le cose. Vuol dire che nelle stesse fortunose circostanze di D’Alia possono passare interi pezzi di legislazione su qualunque cosa come se niente fosse, senza alcun confronto, senza essere espressione di alcun ragionamento preparatorio che non sia l’indignazione di un singolo davanti alla tv. Significa che ci sono 945 persone, in genere divise su tutto, di cui in questi momenti di stupefacente efficienza dell’assemblea dobbiamo tenere ogni ansia, ogni puntiglio, ogni idiosincrasia.
Vittorio Zambardino propende per un'altra ipotesi:
A mio parere l’attacco che, confusamente, la politica di maggioranza e opposizione (ebbene sì, come dimostrerebbe un esame storico di quindici anni di legiferazione e proposte in materia) porta alla rete non è affatto il prodotto di una feroce ignoranza tecnofobica.
C’è anche questa componente: ma ci sono altre due spinte determinanti. Una è la corrente di pensiero internazionale - radicata, tanto per dire, nel Labour britannico e nel governo francese, certo non omologhi sul piano politico - a normare in senso autoritario e limitante le forme di nuova espressione maturate in rete (e nel conto ci metto anche le leggi sul p2p).
Seconda spinta: si tende a normare la rete perché sia allineata, nella visione dell’establishment italiano, alla forte azione di contenimento - andiamoci di understatement, che è meglio - di tutto l’ambiente dei media.
Fa più paura l'ignoranza o il dolo nel far passare delle leggi che “imbavagliano” la libertà di espressione? E qual è l'ipotesi più credibile in questo caso?
Proposte? Va precisato che, di fatto, la regolamentazione di certi aspetti della Rete già esiste e i reati commessi in Rete sono perseguibili: esistono già strumenti cautelari e la magistratura ha già il potere di richiedere la rimozione dei contenuti (e la lista non finisce qui: segnalo il puntuale fact-check di Elvira).
Ci sono state alcune ipotesi fatte giovedì, da una legge quadro sulla Rete alla formulazione di principi generali che siano da guida nel legiferare su argomenti sensibili. I politici hanno detto la loro ma qualcuno ha già fatto un passo in più.
Una delle persone che ho conosciuto giovedì all'incontro è stato Guido Scorza, avvocato esperto di questi temi e membro del Consiglio direttivo dell'Istituto per le Politiche dell'innovazione. Proprio Scorza, sul sito dell'istituto lancia un esperimento, una pagina wiki con la proposta di emendamento fatta dal deputato Roberto Cassinelli (che ancora non è stata discussa e votata) per modificare l'emendamento D'Alia.
La proposta è stata prontamente rilanciata anche dallo stesso Cassinelli sul suo blog (dove – ho notato con piacere – cerca di discutere con i propri lettori su temi e proposte di legge che lo vedono impegnato in prima persona.
Scorza precisa giustamente:
Nessuno intende riscrivere le regole della democrazia rappresentativa ma, ad un tempo, utilizzare il web e la condivisione di idee, esperienze e competenze per far approdare in parlamento leggi migliori di quelle che, sin qui - almeno con riferimento alla realtà digitale e telematica - si son viste credo sia, per i più, un obiettivo auspicabile.
Può essere un primo piccolo, utile esperimento per iniziare a tracciare delle possibili modalità di collaborazione su questi temi.
In attesa di formare una lobby (come chiede Zambardino)?
Chissà.
Update: Antonio ha appena aggiunto delle considerazioni.
Elvira scrive in modo approfondito della proposta Cassinelli