sabato, luglio 21, 2007

Divulgazione - reloaded

So bene che è la cosa meno estiva di cui potrei scrivere e che non si presta a letture e conversazioni in periodi di caldo acuto (per quello che sento dall'Italia; qui a New York si sta discretamente, climaticamente parlando).
Stasera mi è finito sotto gli occhi un bel post-spunto di Francesca sulla divulgazione.
Avevo risposto a suo tempo (chiamata in causa nel post, tra l'altro! :D) e non avevo poi visto che anche Alberto aveva detto la sua.
In questo periodo non mi riesce benissimo articolare certi concetti ma ho comunque cercato di chiarire un punto su cui non ero stata precisa.
Spero che a Francesca non dispiaccia se riporto qui i commenti, nella speranza che qualcuno passi e li legga e dica la sua o che almeno ci pensi un pochino.
Male che vada me lo terrò come appunto e ritirerò fuori l'argomento a mente (e clima) freddo.


  1. svaroschi Dice:

    Divulgazione, divulgazione…l’argomento mi interessa molto, lo sai..

    Mi lasciano sempre piuttosto perplessa coloro che pensano di poter parlare di divulgazione ïn “generale”, senza confrontarsi con il cosiddetto elemtno umano, i cosiddetti destinatari (l’oggetto della divulgazione ha ovviamente il suo peso anch’esso).
    Il discorso che si puó fare per chi ha alfabetizzazione informatica é certamente diverso da quello che si potrebbe fare per chi non ce l’ha, per dirne una. E della tecnologia non tutti vedono utilitá immediata perché non tutti hanno le stesse esigenze (e non tutti ci lavorano).

    Allora il punto di partenza sono sempre le persone e i loro bisogni.

    …e ora dove va la palla? :-)

  2. alberto d'ottavi Dice:

    svaroschi, sai che tocchi un tasto estremamente delicato? potremmo a ben guardare essere al centro di un dibattito storico. cercando però di evitare implicanze politiche, mi limito a una provocazione: ti sembra logico se dico che il tuo approccio ci porta - all’estremo - a comprendere anche certe manifestazioni della tv generalista? se i “bisogni” sono, per esempio, “avere una voce che tiene compagnia”, allora nel tuo discorso ricade il grande fratello. è certamente “cultura”, no?

    fuor di metafora, credo il tema della divulgazione posto da Francesca molto delicato, e lo descriverei come “ricerca di un punto d’equilibrio” tra opposti estremi - le punte avanzate della ricerca da una parte, le basi formative e il linguaggio di lettori / ascoltatori dall’altro

    è un continuum lungo il quale ognuno sceglie la propria posizione, ma, per chi vuole fare divulgazione professionale (in ambito educativo, formativo, giornalistico o altro), non credo ci si possa “appiattire” su nessuno di questi due estremi.

    per esempio, i quotidiani oggi scelgono di parlare di politica in modo iper-specialistico, con un linguaggio stratificato, pieno di riferimenti incrociati (al politico, al suo concorrente, ad altril poteri, ad altri giornali). parlano di moda o sport con il linguaggio diretto e rilassato di chi si pone da pari a pari, di chi condivide un certo background, e di tecnologia, invece, come se si rivolgessero a degli stupidi, credendo di semplificare e in realtà banalizzando

    ogni scelta è lecita, non c’è “giusto” e “sbagliato”. a me, personalmente, non piace. nel caso specifico perché credo che oggi i lettori siano più esperti in tecnologia dei giornalisti che ne scrivono, e quindi così facendo il giornale fa un cattivo servizio e brutta figura

    in generale, invece, perché non credo che la missione della divulgazione sia consegnare al lettore un prelavorato eccessivamente semplice, una “pappa fatta” pronta da “digerire”

    al contrario, credo che la divulgazione, e in particolar modo quella tecnologica così importante di questi temi, debba sempre dare indicazione al lettore di quali siano le reali prospettive, di quanta conoscenza ci sia ancora da sviluppare, di quanto alta sia la “sbarra” da saltare. di quanto importante sia la sfida

    tecnicamente (nel senso della tecnica giornalistica / di divulgazione) non è niente di diverso dalla struttura classica di un paper scientifico. qualsiasi lavoro accademico ha un 25% di riepilogo delle premesse e di analisi del contesto attuale, un 25% di materiali e metodi, un 25% sui risultati e il restante di riepilogo e prospettive avanzate

    cambiando il necessario, siamo di nuovo alle 5 W - who, what, why, where, when - del miglior giornalismo anglosassone

    altra cosa, poi, e altrettanto tecnica, è l’ovvia necessità di cambiare forma / stile a seconda dell’audience

    ma tornando al piano generale, io sono contrario all’idea che, se ci si rivolge ai “meno esperti”, si debbano dire cose banali. al contrario, bisogna trovare un linguaggio adatto per veicolare comunque contenuti di qualità, e “sfidarli” così a migliorare. un grande esempio di successo è focus, con le sue +300.000 copie

    credo quindi che la miglior divulgazione nasca dall’unione di due eccellenze: quella relativa al campo di argomenti di cui si parla e quella relativa al media / linguaggio utilizzato. e non dalla rinuncia ad alcuna, o parte, di esse

  3. Ahem, Alberto, tu tocchi dei punti giustissimi e credo di essere stata troppo poco precisa nelle mie considerazioni iniziali.
    Non intendevo parlare infatti di “appiattirsi” sulla massa o di comunicare cose banali a chi non è sufficientemente “alfabetizzato” (in qualunque campo), assolutamente lungi da me.
    Intendevo riferirmi al fatto che troppo spesso chi fa divulgazione tecnologica generica (la vogliamo chiamare “di massa”? non so, l’importante è che ci capiamo, eh), quando non si appiattisce, appunto, dà per scontato di parlare a persone che abbiano un livello di conoscenza superiore e - soprattutto - una motivazione maggiore di quella che hanno. E poi magari non si spiega perchè certe cose non destino interesse o ne venga colto solo un aspetto spettacolare.

    Facendo un parallelo è come dire: magari si può pensare che i reality facciano schifo e siano stupidi, ma non si può ignorare che esistano e attirino molta gente. Se si parla di tv di intrattenimento e non se ne tiene conto perchè nella nostra testa non dovrebbero esistere, perchè li giudichiamo negativi…beh, non possiamo poi meravigliarci se la nostra analisi di un fenomeno non risulterà corretta e se le nostre previsioni saranno sbagliate.
    Per fare un ulteriore esempio è un po’ come far partire un bel progetto senza studiare prima il contesto in cui lo si vuole realizzare.

    Il punto che volevo esprimere è un pochino più chiaro, adesso?
    (uhm, non è che ne sia proprio sicura, a dire il vero)

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